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La nullità canonica del matrimonio

Basta che un componente della coppia non volesse o non fosse pronto ad assumere gli impegni tipici del sacramento

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Il matrimonio può essere valido solo per l’ordinamento civile, per quello religioso di appartenenza (ci limitiamo a parlare dell’ordinamento della chiesa cattolica, quale confessione più diffusa in Italia) oppure per entrambi.
In quest’ultimo caso, quello più frequente, il rito viene celebrato una sola volta e si definisce “concordatario”, in quanto, pur essendo amministrato da un sacerdote, questi svolge anche le funzioni di ufficiale di stato civile e la successiva trascrizione dell’atto comporta la validità anche per la legge dello stato.
Ciò non toglie, però, che le vicende “patologiche” del matrimonio rimangano ben distinte nei due ambiti.
Tralasciando gli istituti della separazione (conosciuta sia dal diritto civile che da quello canonico) e del divorzio (contemplato, come noto, solo dall’ordinamento civile), ci concentriamo sulle nullità del matrimonio per il diritto canonico, dopo avere parlato la scorsa settimana di quelle che valgono per il codice civile.
Chiariamo subito che la differenza fondamentale è che nel diritto canonico non conta il principio dell’affidamento dell’altro coniuge, per cui un matrimonio canonico può essere nullo anche solo perché uno dei due sposi aveva una riserva mentale tenuta nascosta all’altro, come l’intenzione di non avere figli o quella di separarsi presto.
Ciò che conta, per il diritto canonico, è che lo sposo (ne basta uno solo) non volesse o non fosse pronto ad assumere gli impegni tipici del sacramento matrimoniale.
Oltre all’esclusione della prole o dell’indissolubilità che abbiamo già ricordato, richiamiamo anche l’immaturità affettiva che impedisce allo sposo di rendersi conto dell’importanza e della portata del vincolo.
La sentenza di nullità è emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale competente, deve essere confermata da quello di secondo grado e ratificata dal Supremo Tribunale della segnatura apostolica (quella che una volta si chiamava “Sacra Rota”). Per renderla esecutiva anche nell’ordinamento civile occorrerà chiedere la cd. “delibazione” alla Corte d’Appello competente.

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