A differenza della separazione (e dell’eventuale successivo divorzio), le nullità del matrimonio non riguardano il “rapporto” ma i vizi della sua stipulazione, esistenti nel momento in cui si è assunto il vincolo.
Un primo gruppo di nullità riguarda l’essere uno dei due coniugi già sposato, l’essere gli sposi legati da vincoli di parentela tra loro, l’essere stato uno dei due condannato per omicidio (anche tentato) a danno del coniuge dell’altro. Per queste nullità, chiunque abbia interesse può fare accertare il vizio.
Un altro caso è il matrimonio di chi non sia maggiorenne e non sia stato autorizzato dal giudice.
Il minore può impugnare l’atto fino ad un anno dopo la maggiore età, sempreché non ci sia stata procreazione o concepimento o, divenuto maggiorenne, non dichiari di volere mantenere il legame.
Anche l’essere in stato di interdizione legale, oppure essere stato incapace di intendere e di volere al momento della celebrazione, è causa di nullità del matrimonio. L’azione decade, però, qualora cessata l’interdizione ci sia stata coabitazione tra i coniugi per oltre un anno.
La coabitazione per un anno “sana” anche un’altra causa di nullità, che è forse la più frequente, quando il consenso di uno dei coniugi è frutto di un errore sull’identità o sulle qualità personali dell’altro (una malattia fisica o mentale non conosciuta).
Un ultimo caso è quello della simulazione, quando i coniugi si mettono d’accordo per non dare attuazione al matrimonio. In questo caso la nullità è sanata dopo un anno di “convivenza come coniugi”.
Gli sposi sono considerati coniugi fino al momento del venire meno del vincolo nullo (è il cosiddetto matrimonio “putativo”).
Le nullità previste dal Codice Civile si distinguono da quelle previste dal diritto canonico, che riguardano la validità del vincolo nel solo ordinamento della chiesa cattolica e delle quali parleremo la prossima settimana.